La rievocazione storica
La mattina della domenica di carnevale le donne indossano il costume festivo arbëreshë. Il rito della vestizione è molto importante per le donne perché ci vuole molta attenzione nell’indossarlo. La coda della gonna, ad esempio, viene cucita una volta indossata e scucita quanto tolta. Il costume viene tramandato di generazione in generazione.
Gli abitanti di Lungro iniziano i festeggiamenti ricordando l’eroe Giorgio Castriota in una parata storica con musica e canti. Il corteo è composto da Scanderbeg a cavallo e i suoi sottoposti guerrieri che partono dalla Chiesa di Costantinopoli per percorrere le vie storiche del paese fino alla Piazza XVI Luglio 1859. La comunità li attende nella piazza principale dove è stato allestito un piccolo “villaggio”, un luogo di ristoro dove il corteo può riposare.
Sempre nella piazza si svolge la battaglia tra i turchi-ottomani e i guerrieri albanesi. Dopo la sconfitta dei turchi i guerrieri sono sostenuti dal popolo che urla Rroft Skëndërbeu (Evviva Scanderbeg), seguito dal canto Porsi Fleta (Leggera come una farfalla). Dopo i canti, viene rievocato il matrimonio tra il principe arbëreshë, Giorgio Araniti, appartenente a uno delle casate più potenti e la sorella di Giorgio Castriota Scanderbeg, Donika Kastrioti, per sancire l’alleanza tra i due casati. Come dono di nozze i guerrieri albanesi offrono agli sposi i prigionieri turchi catturati. Le donne indossano il costume festivo #arbëreshë# ed eseguono vallje (balli) intorno alla coppia.
La scena della morte di Scanderbeg avviene nella piazza della Cattedrale di San Nicola di Mira. La storia, da cui la scena rievocata, narra che l’eroe, prima di morire a causa della malaria, chiese ad un bambino di raccogliere dei pezzi di legno per farne un mazzo, i guerrieri provarono ad obbedire alla sua richiesta di romperlo senza riuscirci, il bambino li divise e riuscì a spezzarli. L’insegnamento che Scanderbeg ha lasciato al suo popolo è che solo rimanendo uniti potranno essere imbattibili.
La rievocazione storica si conclude con un canto di nostalgia e libertà Petkat e të mirat tona (le vesti e i nostri beni), si racconta la drammatica partenza dalla città di Corone a seguito dell’invasione degli Ottomani.
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